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L’AVVOCATO VIOLENTO

Cosa può succedere, nell’ambito dell’Ordinamento professionale forense, all’Avvocato che, al di fuori dello svolgimento dell’attività professionale, si renda protagonista di un’aggressione non solo verbale ma anche fisica nei confronti di altra persona, addirittura, come avvenuto, colpendola con pugni e calci?

Sicuramente un episodio di tale fatta deve venire valutato e, eventualmente, sanzionato in sede disciplinare.

Come si sa, l’ambito di applicazione della disciplina deontologica è vasto: a norma dell’articolo 2, 1° comma del Codice Deontologico Forense: “Le norme deontologiche si applicano a tutti gli avvocati nella loro attività professionale, nei reciproci rapporti e in quelli con i terzi; si applicano anche ai comportamenti nella vita privata, quando ne risulti compromessa la reputazione personale o l’immagine della professione forense.”

Anche il comportamento tenuto dall’Avvocato nella vita privata, dunque, è suscettibile di valutazione da parte degli Organi disciplinari e può legittimare l’applicazione di una sanzione qualora “ne risulti compromessa la reputazione personale o l’immagine della professione forense”.

Le concrete fattispecie riconducibili alla norma succitata non sono, com’è facile immaginare, inquadrabili negli illeciti tipizzati dal Codice Deontologico Forense, che trovano riferimento in comportamenti propri del Professionista Forense nell’esercizio, o in funzione dell’esercizio della professione forense.

Del resto “il principio di stretta tipicità dell’illecito, proprio del diritto penale, non trova applicazione nella materia disciplinare forense, nell’ambito della quale non è prevista una tassativa elencazione dei comportamenti vietati, giacché il nuovo sistema deontologico forense – governato dall’insieme delle norme, primarie (artt. 3 c.3 – 17 c.1, e 51 c.1 della L. 247/2012) e secondarie (artt. 4 c.2, 20 e 21 del C.D.) – è informato al principio della tipizzazione della condotta disciplinarmente rilevante e delle relative sanzioni “per quanto possibile” (art. 3, co. 3, cit.), poiché la variegata e potenzialmente illimitata casistica di tutti i comportamenti (anche della vita privata) costituenti illecito disciplinare non ne consente una individuazione dettagliata, tassativa e non meramente esemplificativa. Conseguentemente, l’eventuale mancata “descrizione” di uno o più comportamenti e della relativa sanzione non genera l’immunità, giacché è comunque possibile contestare l’illecito anche sulla base della citata norma di chiusura, secondo cui “la professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza.” [Corte di Cassazione (pres. Cassano, rel. Marulli), SS.UU, sentenza n. 10810 del 24 aprile 2023]

Si tratta, il più delle volte, di fatti particolari, anche gravi, come quello da cui abbiamo preso le mosse, che, laddove dimostrati, comportano la valutazione da parte del Giudicante disciplinare della effettiva compromissione, per effetto dei fatti stessi, della reputazione del Professionista o dell’immagine dell’intera professione: in tal senso, può assumere rilevanza per valutare l’intensità del discredito, a esempio, il fatto che la condotta violenta sia stata tenuta dall’Avvocato ben conosciuto, in luogo pubblico, alla presenza di numerose persone, nei pressi del proprio studio.

https://www.codicedeontologico-cnf.it/censurabile-lavvocato-che-tenga-un-comportamento-violento/

https://www.codicedeontologico-cnf.it/GM/2023-30.pdf

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Camera di Deontologia Forense di Udine
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