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GLI ILLECITI DISCIPLINARI PIU’ GRAVI

Come noto, ai sensi dell’art. 51, comma 1, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 e dell’articolo 20 del Codice Deontologico Forense gli illeciti disciplinari nei quali può incorrere l’Avvocato consistono, in primo luogo, nella violazione dei doveri e delle regole di condotta fissati dal medesimo Codice Deontologico Forense e, comunque, nelle infrazioni ai doveri e alle regole di condotta imposti dalla legge o dalla deontologia.

A mente del secondo comma dell’articolo 20 del Codice Deontologico Forense le violazioni in questione, ove riconducibili alle ipotesi tipizzate ai titoli II, III, IV, V e VI del Codice medesimo, comportano l’applicazione delle sanzioni ivi espressamente previste; ove non riconducibili a tali ipotesi comportano l’applicazione delle sanzioni disciplinari di cui agli articoli 52 lettera c) e 53 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, da individuarsi e da determinarsi, quanto alla loro entità, sulla base dei criteri di cui agli articoli 21 e 22 del Codice Deontologico Forense.

Le norme appena richiamate delineano la distinzione tra illecito disciplinare tipico e illecito disciplinare atipico e costituiscono l’esplicazione di quanto previsto dall’articolo 3, 3° comma della Legge 247/2012, a mente del quale il Codice Deontologico espressamente individua fra le norme in esso contenute quelle che, rispondendo alla tutela di un pubblico interesse al corretto esercizio della professione, hanno rilevanza disciplinare, norme che, per quanto possibile, devono essere caratterizzate dall’osservanza del principio della tipizzazione della condotta e devono contenere l’espressa indicazione della sanzione applicabile.

La tipizzazione dell’illecito è quindi, come noto, meramente tendenziale e, a differenza di quanto avveniva con il precedente Codice Deontologico Forense, al comportamento deontologicamente sensibile tipizzato dalla norma viene ora associata la sanzione applicabile.

È interessante esaminare quali siano gli illeciti disciplinari tipizzati nelle disposizioni del Codice Deontologico Forense per i quali si prevede la sanzione edittale più grave.

Il novero delle sanzioni disciplinari è espresso, come sopra ricordato, dagli articoli 52 lettera c) e 53 della Legge 247/2012, nonché dall’articolo 22 del Codice Deontologico Forense.

La sanzione più grave è la radiazione che consiste nell’esclusione definitiva dall’albo, elenco o registro e impedisce l’iscrizione a qualsiasi altro albo, elenco o registro, fatto salvo quanto previsto dalla legge; è inflitta per violazioni molto gravi che rendono incompatibile la permanenza dell’incolpato nell’albo, elenco o registro.

Nessuna delle previsioni di illecito tipico nel Codice Deontologico Forense prevede quale sanzione edittale la radiazione talchè, alla luce di quanto previsto dall’articolo 22, 2° comma, lettera d), del medesimo Codice, tale misura sanzionatoria troverà applicazione, sempre in caso di illecito tipizzato, solo nel caso che per lo stesso la norma preveda la sanzione edittale della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni e l’Organo giudicante, valutando più grave il caso, ritenga di dover irrogare una sanzione disciplinare aggravata, nel suo massimo, appunto fino alla radiazione.

Altra sanzione interdittiva, o sostanziale, prevista dalle succitate norme è la sospensione, che consiste nell’esclusione temporanea, da due mesi a cinque anni, dall’esercizio della professione o dal praticantato e si applica per infrazioni consistenti in comportamenti e in responsabilità gravi o quando non sussistono le condizioni per irrogare la sola sanzione della censura.

Per altro nessuno degli illeciti tipizzati dal Codice Deontologico Forense prevede quale sanzione edittale la sospensione dall’esercizio della professione sino a cinque anni, rinvenendosi invece la sanzione edittale della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni per alcune fattispecie che, in definitiva, può dirsi che configurino comportamenti gravi, i più gravi tra quelli fissati dal detto Codice, in quanto sanzionati, nell’ipotesi non aggravata, con la sanzione edittale più grave e che, nell’occorrere invece di circostanze aggravanti, possono in concreto comportare l’applicazione della radiazione.

Quali sono tali illeciti?

L’articolo 23, rubricato “Conferimento dell’incarico” e prima disposizione del titolo II del Codice Deontologico Forense dedicato ai Rapporti con il Cliente e la Parte Assistita, prevede ai suoi commi 5 e 6 che “L’avvocato è libero di accettare l’incarico, ma deve rifiutare di prestare la propria attività quando, dagli elementi conosciuti, desuma che essa sia finalizzata alla realizzazione di operazione illecita.” e che “L’avvocato non deve suggerire comportamenti, atti o negozi nulli, illeciti o fraudolenti.”: la violazione dei doveri di cui a detti commi comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.

Il successivo articolo 24, rubricato “Conflitto di interessi”, prevede:

al comma 1 che l’avvocato deve astenersi dal prestare attività professionale quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale;

al comma 3 che il conflitto di interessi sussiste anche nel caso in cui il nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altra parte assistita o cliente, la conoscenza degli affari di una parte possa favorire ingiustamente un’altra parte assistita o cliente, l’adempimento di un precedente mandato limiti l’indipendenza dell’avvocato nello svolgimento del nuovo incarico;

al comma 5 che il dovere di astensione sussiste anche se le parti aventi interessi confliggenti si rivolgano ad avvocati che siano partecipi di una stessa società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali e collaborino professionalmente in maniera non occasionale:

la violazione dei doveri di cui a tali commi dell’articolo 24 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.

L’articolo 28, sotto la rubrica “Riserbo e segreto professionale”, prevede che:

è dovere, oltre che diritto, primario e fondamentale dell’avvocato mantenere il segreto e il massimo riserbo sull’attività prestata e su tutte le informazioni che gli siano fornite dal cliente e dalla parte assistita, nonché su quelle delle quali sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato;

l’obbligo del segreto va osservato anche quando il mandato sia stato adempiuto, comunque concluso, rinunciato o non accettato;

l’avvocato deve adoperarsi affinché il rispetto del segreto professionale e del massimo riserbo sia osservato anche da dipendenti, praticanti, consulenti e collaboratori, anche occasionali, in relazione a fatti e circostanze apprese nella loro qualità o per effetto dell’attività svolta;

è consentito all’avvocato derogare ai doveri di cui sopra qualora la divulgazione di quanto appreso sia necessaria:

a) per lo svolgimento dell’attività di difesa;

b) per impedire la commissione di un reato di particolare gravità;

c) per allegare circostanze di fatto in una controversia tra avvocato e cliente o parte assistita;

d) nell’ambito di una procedura disciplinare;

in ogni caso la divulgazione dovrà essere limitata a quanto strettamente necessario per il fine tutelato;

la violazione dei doveri appena menzionati comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura e, nei casi in cui la violazione attenga al segreto professionale, l’applicazione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.

L’articolo 30, che riguarda la “Gestione di denaro altrui”, al suo terzo comma stabilisce che l’avvocato, nell’esercizio della propria attività professionale, deve rifiutare di ricevere o gestire fondi che non siano riferibili ad un cliente e la violazione di tale obbligo comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.

L’articolo 31, sotto la rubrica “Compensazione”, prevede chel’avvocato deve mettere immediatamente a disposizione della parte assistita le somme riscosse per conto della stessa e che la violazione di tale dovere comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.

L’articolo 50, dedicato al “Dovere di verità” e contenuto nel titolo IV del Codice Deontologico Forense riguardante i Doveri dell’Avvocato nel processo, prevede:

al comma 1 che l’avvocato non deve introdurre nel procedimento prove, elementi di prova o documenti che sappia essere falsi;

al comma 2 che l’avvocato non deve utilizzare nel procedimento prove, elementi di prova o documenti prodotti o provenienti dalla parte assistita che sappia o apprenda essere falsi;

al comma 3 che l’avvocato che apprenda, anche successivamente, dell’introduzione nel procedimento di prove, elementi di prova o documenti falsi, provenienti dalla parte assistita, non può utilizzarli o deve rinunciare al mandato;

al comma 4 che l’avvocato non deve impegnare di fronte al giudice la propria parola sulla verità dei fatti esposti in giudizio;

al comma 5 che l’avvocato, nel procedimento, non deve rendere false dichiarazioni sull’esistenza o inesistenza di fatti di cui abbia diretta conoscenza e suscettibili di essere assunti come presupposto di un provvedimento del magistrato:

la violazione dei menzionati divieti comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.

L’articolo 68, sotto la rubrica “Assunzione di incarichi contro una parte già assistita” e contenuto nel titolo V del Codice Deontologico Forense che disciplina i Rapporti con terzi e controparti, prevede che:

al comma 2 che l’avvocato non deve assumere un incarico professionale contro una parte già assistita quando l’oggetto del nuovo incarico non sia estraneo a quello espletato in precedenza;

al comma 3 che in ogni caso, è fatto divieto all’avvocato di utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto già esaurito;

al comma 5 che l’avvocato che abbia assistito il minore in controversie familiari deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno dei genitori in successive controversie aventi la medesima natura, e viceversa:

la violazione dei doveri e divieti appena menzionati comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.

L’articolo 72, rubricato “Esame di abilitazione” nell’ambito del titolo VI del Codice Deontologico Forense riguardante i Rapporti con le Istituzioni Forensi, infine prevede che l’avvocato che faccia pervenire, in qualsiasi modo, ad uno o più candidati, prima o durante la prova d’esame, testi relativi al tema proposto è punito con la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi, e che qualora sia commissario di esame, la sanzione non può essere inferiore alla sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.

Il breve scrutinio delle succitate regole deontologiche le quali, se violate, comportano la commissione di illeciti disciplinari, come sopra detto, da ritenersi gravi in ragione della sanzione edittale applicabile in caso di accertamento degli stessi, fa cogliere i principi che il Legislatore deontologico ha voluto principalmente salvaguardare e che, in estrema sintesi, scevra da qualsivoglia approfondimento, possono riassumersi, nei seguenti:

l’indipendenza dell’Avvocato che deve astenersi da attività professionali tali da sfociare in atti nulli o illeciti, o che comportino la gestione di denari o fondi di dubbia origine;

l’indipendenza dell’Avvocato che non può esercitare la professione in condizione di conflitto di interessi;

il segreto professionale;

la fedeltà e la fiducia nel rapporto con il Cliente e con la Parte assistita;

la lealtà e la correttezza del comportamento dell’Avvocato anche in sede processuale;

la lealtà e la correttezza del comportamento dell’Avvocato nei rapporti con le Istituzioni forensi.

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