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ESTRANEITA’ DELL’INCARICO CONTRO EX CLIENTE

Gli Avvocati sanno che l’assunzione di un incarico contro chi è stato già cliente dello stesso Avvocato deve essere valutata con attenzione alla luce delle regole deontologiche.

La disciplina deontologica dell’assunzione di incarichi contro una parte già assistita è specificamente dettata dall’articolo 68 del Codice Deontologico forense il quale, ai suoi primi tre commi, detta in primo luogo le seguenti regole:

1. L’avvocato può assumere un incarico professionale contro una parte già assistita solo quando sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale.

2. L’avvocato non deve assumere un incarico professionale contro una parte già assistita quando l’oggetto del nuovo incarico non sia estraneo a quello espletato in precedenza.

3. In ogni caso, è fatto divieto all’avvocato di utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto già esaurito.

In qualche caso non è agevole avere sicurezza se l’oggetto del nuovo incarico, che si assumerebbe nei confronti dell’ex cliente sia o meno estraneo a quello svolto in precedenza.

Il termine “estraneo”, infatti, deve venire interpretato e applicato al caso concreto.

Di tale profilo si è occupato il Consiglio Nazionale Forense che, con la decisione n. 133/22, si è espresso, in parte motiva della sentenza, nel senso che “l’utilizzo del termine “estraneo” va a significare l’esclusione di qualsiasi relazione, legame, finanche conoscenza tra persone, cose o fatti.”, concetto poi applicato alla concreta fattispecie esaminata.

Il caso giudicato dal Consiglio Nazionale Forense con la decisione rammentata è giunto anche al vaglio delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali, nel dichiarare inammissibile il ricorso presentato con la sentenza n. 10810 del 24 aprile 2023, si sono per altro diffusamente soffermate, nella motivazione del provvedimento, sul concetto di “estraneità”, esprimendo indicazioni che, per l’utilità che possono avere per gli Avvocati, si riportano:

“Ciò premesso, è bene anche precisare che l’art. 68, comma 2, CDF prevede, nel quadro delle disposizioni dirette a tutelare, nell’esercizio dell’attività professionale, i valori della correttezza e della lealtà nei rapporti con i terzi, che “l’avvocato non deve assumere un incarico professionale contro una parte già assistita quando l’oggetto del nuovo incarico non sia estraneo a quello espletato in precedenza”. La norma, dunque, eleva a parametro selettivo della condotta sanzionabile il concetto di “estraneità”, nel senso che la fonte del divieto da essa statuito deve, certo, avere riguardo all’oggetto dell’incarico, ma quell’oggetto deve essere connotato da uno speciale requisito negativo che si identifica nella non estraneità all’incarico precedentemente espletato. Come bene ha osservato il Procuratore Generale «l’utilizzo da parte della norma del concetto di “estraneità”, in luogo del concetto di “diversità” fa emergere già dal punto di vista letterale come la condotta dell’avvocato che, decorsi due anni, assume un incarico professionale contro un ex cliente è sanzionata non solamente quando l’oggetto del secondo mandato non differisce da quello del primo – cioè quando petitum e causa petendi non sono diversi –, ma anche quando l’oggetto del nuovo incarico non è estraneo a quello espletato in precedenza, nonostante petitum e causa petendi differiscano». E’ questa una chiave di lettura che ha il pregio di chiarire che il concetto di estraneità a cui ha inteso qui richiamarsi il regolatore forense è evocato in senso evidentemente atecnico, dato che esso è certo provvisto di un’indubbia valenza giuridica, dipendendo dall’estraneità o meno del nuovo incarico rispetto a quello precedente appunto la sanzionabilità o meno della condotta tenuta dal professionista investito di mandato difensivo nei confronti della parte da lui già assistita; ma non ha tuttavia pure un contenuto giuridico, l’estraneità o meno del nuovo incarico rispetto a quello precedentemente espletato non potendo invero essere divisata in forza di categorie che rimandano obbligatoriamente alla tecnicalità propria del processo, quali la connessione, la continenza, la pregiudizialità et similia. Questo porta ad orientare la ricerca esegetica – che, è appena il caso di avvertire, non trova preventivo ostacolo nel carattere sanzionatorio della norma, dato che il principio di stretta tipicità non si applica nella materia disciplinare forense (Cass., Sez. U, 30/11/2021, n. 37750) – in direzione di un giudizio che, nel mentre è indotto a spogliarsi, per quanto detto, da ogni suggestione o condizionamento riconducibile al processo e alle sue categorie, si apre, nello stesso tempo, ad una valutazione che non può che guardare ai doveri fondamentali dell’avvocato stabiliti dall’art. 9 CDF. Il concetto di estraneità fatto proprio dall’art. 68, comma 2, CDF si riempie in tal modo di un contenuto, altrimenti non identificabile, che si rende così invece oggettivabile proprio nella rilevazione dei sintomi di consonanza che si danno tra gli incarichi professionali messi a confronto alla luce dei doveri fondamentali di probità, lealtà e correttezza che si impongono all’avvocato nell’esercizio della sua attività professionale. E’ solo attraverso il filtro costituito dalla trama dei doveri fondamentali che debbono guidare anche nei rapporti con i terzi la condotta del professionista che si rende perciò possibile misurare quanto il nuovo incarico risulti estraneo a quello già espletato. Così ragionando è allora evidente che l’asse di giudizio che indirizza il responso del giudice disciplinare viene a riposare su una valutazione condotta unicamente in fatto, perché è solo attraverso l’apprezzamento degli elementi di fatto che connotano la fattispecie oggetto di disamina che egli è posto in grado di stabilire o meno se il nuovo incarico possa dirsi estraneo al precedente.”

https://www.codicedeontologico-cnf.it/GM/2022-133.pdf

https://www.codicedeontologico-cnf.it/GM/cass/2023-10810.pdf

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