E’ noto che il “patto di quota lite” nel nostro ordinamento è vietato.
Già si è visto che ciò è stabilito dalla Legge Professionale Forense 31.1.2012 n. 247 al suo articolo 13, comma 4: “Sono vietati i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa.”, oltrechè dal Codice Deontologico Forense con l’articolo 25, comma 2: “Sono vietati i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso, in tutto o in parte, una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa.”, prevedendo, in caso di violazione di tale divieto, l’applicazione della sanzione edittale dell’avvertimento.
La Corte di Cassazione si è recentemente occupata di tale fattispecie, con la sentenza della III Sezione in data 04.09.2024 n. 23738, con la quale ha cassato ordinanza emessa dal Tribunale di Trieste nell’anno 2019.
Nella motivazione del provvedimento la Corte di Cassazione considera il dettato del succitato articolo 13 della Legge Professionale, e in particolare il coordinamento tra il terzo e quarto comma di tale disposizione, dal cui combinato disposto si ricava che se la percentuale con la quale è stato pattuito il compenso per il Professionista legale può essere certamente rapportata al valore dei beni o degli interessi litigiosi, non lo può essere quanto al risultato, in piena coerenza con la ratio del divieto volto ad enfatizzare il distacco del legale dagli esiti della lite; in tal modo, si evita la commistione di interessi tra il cliente e l’avvocato, che si avrebbe qualora il compenso fosse collegato, in tutto o in parte, all’esito della lite, con il rischio così della trasformazione del rapporto professionale da rapporto di scambio a rapporto associativo.
Il divieto del cosiddetto “patto di quota lite” tra l’Avvocato ed il cliente, trova il suo fondamento nell’esigenza di assoggettare a disciplina il contenuto patrimoniale di un peculiare rapporto di opera intellettuale, al fine di tutelare l’interesse del cliente e la dignità della professione forense, che risulterebbe pregiudicata tutte le volte in cui, nella convenzione concernente il compenso, sia ravvisabile la partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione richiestagli.
Stampa