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PATTEGGIAMENTO E PROCEDIMENTO DISCIPLINARE

Massima

L’art. 25, co. 1, lett. b) d. lgs. n. 150/2022 che, novellando l’art. 445 c.p.p., ha stabilito che la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti non abbia più efficacia di giudicato nei giudizi civili, disciplinari, tributari e amministrativi, trova potenziale applicazione per le sole decisioni pronunciate dal 30.12.2022, data di entrata in vigore della norma, per la quale non è stata prevista una specifica disciplina transitoria, giacché, attesane la natura processuale, non opera il principio di retroattività della lex mitior ma il criterio generale del tempus regit actum.

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Il caso e la decisione

Un Avvocato era accusato, in estrema sintesi, di aver violato i doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza, nonché il dovere di fedeltà (artt. 9 e 10 codice deontologico) per aver ricevuto un modesto acconto dai propri clienti al fine di presentare un ricorso in materia tributaria. Nonostante l’avvenuta corresponsione della somma e il conferimento dell’incarico, il legale non agiva in giudizio, redigendo invece un’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, apponendovi la firma apocrifa dei propri clienti e certificandone l’autografia, attestando altresì condizioni di reddito difformi dal vero.

A seguito degli accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza sull’istanza di ammissione al patrocinio gratuito, i mandanti venivano sottoposti a procedimento penale, scoprendo così la condotta del professionista. La loro posizione era però successivamente archiviata.

Il legale veniva invece indagato per patrocinio infedele e falsità ideologica in certificati (artt. 380 e 481 c.p.) e, una volta esercitata l’azione penale nei suoi confronti, chiedeva e otteneva l’applicazione della pena a norma degli artt. 444 e s. c.p.p.

Nel giudizio disciplinare di merito l’avvocato allegava di aver depositato il ricorso in questione e di aver compilato per errore la richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, scambiandola con una pratica analoga in cui il cliente aveva invece diritto all’ammissione al beneficio.

Una volta avvedutosi dell’errore, aveva rinunciato immediatamente alla richiesta di patrocinio gratuito e comunque, tramite intervento della propria assicurazione, aveva tenuto indenni i clienti da tutti i danni subiti.

Il Consiglio Distrettuale di Disciplina riteneva integrate le violazioni deontologiche contestate, osservando come la sentenza di patteggiamento facesse stato nel giudizio disciplinare circa la sussistenza dei fatti descritti nelle imputazioni, della loro illiceità penale e della loro riferibilità soggettiva al condannato (art. 653, co. 1-bis c.p.p.).

Nel ricorso al Consiglio Nazionale Forense, l’incolpato in sostanza reiterava le difese già svolte in primo grado.

Il Collegio Giudicante riteneva la correttezza della decisione del Consiglio territoriale, affermando il principio sopra massimato e confermando in toto la decisione gravata.

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Breve commento.

La decisione in commento appare esente da rilievi critici.

A fronte della sentenza di patteggiamento, che ha cristallizzato la violazione della legge penale in capo all’incolpato, il C.N.F. ha avuto infatti buon gioco nel limitarsi a richiamare la decisione assunta all’esito del processo penale, attesa la sua efficacia di giudicato anche nel disciplinare ex art. 651 c.p.p. essendo divenuta irrevocabile prima del 30.12.2022.

Si segnala infine un aspetto relativo alla sanzione disciplinare irrogata.

Nel caso che occupa, la vicenda si è conclusa con la sospensione dall’esercizio della professione per la durata di sei mesi.

Come noto, però, l’art. 17, co. 1, lett. g) l. n. 247/2012 annovera tra i requisiti soggettivi per l’iscrizione all’albo degli avvocati il non aver riportato condanne per taluni gravi reati, tra cui il patrocinio infedele.

La competenza ad ordinare la cancellazione dall’albo, che non viene considerata una sanzione, non spetta all’organo disciplinare, bensì al consiglio dell’ordine, il quale può attivarsi anche d’ufficio quando per un iscritto viene meno uno dei presupposti menzionati dalla citata disposizione (art. 17, co. 9, lett. a) d. lgs. n. 247/2012).

Nel caso in commento, quindi, l’incolpato ha perduto i requisiti soggettivi di permanenza nell’albo degli avvocati e, oltre a dover scontare la sanzione disciplinare, rischia anche la cancellazione a cura dell’ordine territorialmente competente.

https://www.codicedeontologico-cnf.it/GM/2024-167.pdf

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